Vicende nel vento

Stasera può succedere tutto. La superficie del mare bolle per la forza che ieri gli ha impresso il libeccio e oggi la tramontana rinforza. Si gonfia a dismisura, sembra poter uscire dal chiuso dei moli per ingoiare le strade. Il Mamozio è flagellato dalla piena che arriva a ritmo fisso fin sotto il muraglione di Corso Pisacane. Similmente la Banchina Nuova è diventata dominio del mare. Il vento sferza e si porta via ogni ostacolo che non sia ben radicato. Gli scafi attraccati ai moli sembrano cavalli impazziti che gli ormeggi a malapena tengono. E intanto essi strepitano con le funi e con gli alberi sibilanti.

Per l’intero arco del giorno i marinai si sono avvicendati a fare la guardia in caso ci fosse bisogno di rinforzo all’ormeggio. Al calar delle ombre una calma inattesa fa prendere respiro. All’ isola tutta.

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Dura poco. Il cielo già oscuro diventa nero cupo per qualcosa che arriva da Zannone. Insieme ai bagliori squarcianti.

     Pezzerì, il cane, è entrato in casa. Si accula nello spigolo dietro la porta. “ Che fa ? Stasera pure lui dentro, ha paura pure lui ? ”  –  commenta la donna, indispettita dalla sua presenza, anche se l’animale si è rincantucciato senza dare fastidio.

Salvatore traffica col cibo e prova un certo piacere che il cane manifesti un comportamento inconsueto, visto che di solito è ostile a rinchiudersi in casa.

I tuoni riempiono i silenzi fra fratello e sorella. Lui è attirato ossessivamente dai vetri della porta. Da lì, compare fra due caseggiati uno spicchio di mare che da Gavi arriva fino alla Caletta. Guarda fuori. Il porto è sinistramente illuminato dai lampioni. Desolante e straziante luce giallognola. Aldilà è tutto nero con frizzi di bianco che compaiono e scompaiono. Salvatore guarda, accende la televisione, poi si rivolge alla sorella: “ I temporali … che ti fanno…” . Apre il frigo, prende il formaggio e col pane ne fa un boccone. Il cane, apparentemente distratto, ha avvertito il masticare, si alza e va verso l’uomo col muso che chiede. Salvatore gli porge il morso.

Alla porta bussano. La donna apre ed entra Vincenzo, si rivolge a Salvatore. “ Vieni con me… Mangiapatane si è sentito male. Ci sta il dottore Sandolo. Vuole fare un salasso ma c’è bisogno di gente. Bisogna mantenerlo e il dottore da solo non ce la fa ”.

Salvatore guarda la sorella e con gli occhi le manifesta gli intenti. Si infila un giubbotto e segue Vincenzo. Il cane gli va dietro ma Salvatore con un colpetto sul capo gli ordina di fermarsi lì.

“ Appena mi spiccio vengo pure io ” – dice la donna.

Escono. Il vento sibila e prende forza fra gli spigoli delle case del vicolo ma ai due non fa nessun effetto. Sono marinai che ne hanno affrontato la potenza in mare aperto. E già … “ chi sa che mare ci sarà al largo…” – mormora Vincenzo. “ E già  – interviene Salvatore  – di notte, poi, rinforza… Domani ci sarà tramontana ”. La frase interrotta fa intendere che se l’aspettano di forte intensità.

A casa di Gigino mangiapatane, questo è il nomignolo che lo distingue, li apre la figlia Carmelina. La moglie Antonietta in camera, il marito disteso sul letto e il dottore Sandolo. Medico dalla consumata esperienza ha già preso cognizione dello stato.

Marietta l’ha chiamato perché al marito girava la testa, non si sentiva bene. S’è messo a letto ma ha cominciato a perdere coscienza, sparlava. Chiamato, il medico è arrivato. La pressione era impazzita e l’uomo era semicosciente. Per riportarlo allo stato normale il dottore decide di operare un salasso. “ Una volta  normalizzato si vedrà quale cura dargli ”.

Le parole del dottore Sandolo sono legge. L’autorità gli deriva da una pluridecennale esperienza di medico di famiglia, dal suo carattere deciso, e anche dalla corporatura imponente. In più egli è l’uomo più rappresentativo di Ponza. Sindaco per oltre vent’anni, ha governato l’isola col piglio del signorotto. Conosce di ogni famiglia le aspirazioni e i crucci, di ogni rione i capipopolo e i subalterni. La sua non è stata politica  bensì supremazia. Non  governo ma potere sull’isola.

Professionalmente una garanzia. Eccezionale negli interventi di pronta risoluzione, meno nelle patologie infide, dove più che l’intuito occorrono le analisi specifiche.

Un omone che ha di fronte un altro omone. Pure Mangiapatane è alto e grosso e nel taglio al polso per il salasso  potrebbe avere una reazione con controllabile. Praticamente Vincenzo e Salvatore devono tenergli ferme le braccia e il corpo, e impedire gesti dannosi.

La moglie Marietta si raccomanda alla Madonna di Pompei, mentre cerca di bloccare le gambe,  Mangiapatane  emette parole senza senso e il dottore col bisturi taglia la vena del polso.  “ ‘I muorte tuoie ” – è l’espressione del malato.

Vincenzo e Salvatore lo tengono, e soltanto con la bocca l’uomo può inveire contro il dolore. “ ‘I muorte tuoie ”.

Nessuno bada alla bestemmia. Marietta interrompe la silenziosa preghiera, ma è un attimo. Si guardano tutti in viso perché l’imprecazione è rivolta al dottore, ma lui non gli dà peso, attento a tenere nel bacile i fiotti di sangue.

All’atto del taglio schizzano potenti. Sporcano il lenzuolo e  gocce colpiscono il viso del dottore. Niente, nessun commento.

Le pulsazioni tornano normali, il respiro pure, e la stanza riprende la fisionomia di una casa. Da sala operatoria torna casa.

Sul comò in foto un viso con due enormi baffi e, accanto, una donna minuta, in abiti tristi e seria in volto. “ Sono i genitori di Gigino ”  –  spiega la moglie. “ Sì… sì … va bene  – taglia il dottore – mo va ‘a llà e facce nu bellu café ”.

Rimangono Salvatore, Vincenzo e il dottore. Vincenzo è stato un elettore fedele di Sandolo, non così Salvatore. Perché ? Il perché è difficile spiegarlo nei dettagli. Nella piccola realtà sociale di Ponza la scelta elettorale poggia su tanti fattori, talvolta lontani dal colore dei partiti

Correvano gli anni ’70 e il dottore Sandolo era stato messo fuori dal Comune perché inadatto a dar risposte alle esigenze degli isolani. Il turismo premeva prepotente, portando la richiesta economica in primo piano. La sua visione invece era paternalistica e non riusciva a coniugare la spinta economica con l’immagine di un Comune fermo alla pesca e alla manodopera marinara.

In fondo però non erano queste le ragioni della lontananza di Salvatore. Molto più rozzamente non gli era mai garbato l’ossequio forzoso che circondava la persona del dottore. Lo osteggiava per un banale e viscerale senso di indipendenza.

Lo stesso sentimento che provava nei confronti del parroco. Sempre tutti a circondarlo di una stima attribuita per il suo stato e non per  opere meritorie. Eppoi lui non andava in chiesa e non confidava in una agevolazione benevola in punto di morte. Ne aveva viste di miserie nel suo scorribandare per i continenti, ma anche di situazioni che rendono gli uomini degni. “ Sono gli uomini che fanno le strade su cui cammina la storia ” – era il suo convincimento.

Così, per inciso, quando si trattò di decidere per il divorzio, diede il voto ai radicali. Libero di spirito e di espressione. Non poteva portare la borsa al dottor Sandolo che invece questo voleva dagli altri.

Il ponente-maestro, come da copione, si sta irrobustendo. Non si avverte in casa perché quella di Mangiapatane è protetta dalle altre nel vicolo. Ma quando esce ne subisce il soffio gelido.“ Buona notte Salvatò ”  – lo apostrofa bonariamente il medico. “ Buona notte ” – risponde l’uomo.

  Mangiapatane  s’è appisolato. Dopo la puntura s’è girato sul fianco.  “ Madonna mia nun me fa piglià cchiù spaviente accussì ” – si raccomanda la moglie all’immagine della Madonna. Il dottore: “ Nun te preoccupà c’ a Madonna te sente ”  – e ammicca con viso ironico a Vincenzo che lo asseconda.

A Salvatore viene incontro il cane. “Pezzerì, e che, non ce l’hai fatta a rimanere dentro ? Ah… no, è stata mia sorella che t’ha messo fuori. Vieni con me. Questo è tempo di stare riparati ”. Un fulmine, un tuono, entra in casa col cane. Quello che doveva succedere quella sera era successo. O no.

Un altro tuono sull’isola squassa la notte. Già agitata da un tremore misto di pioggia, vento e mare, si abbuia di segni nefasti.

Avviene sempre così. L’isola oppone resistenza ai temporali e si barrica nei vicoli stretti, con gli angusti spiazzi si chiude all’ansimare delle onde, stringe i denti ai moli. E’ la sua battaglia per la sopravvivenza. Fino a che tengono le forze. Poi cede, poi lo stretto avvinghiarsi si allenta e l’isola si lascia andare al turbinìo, allo scotimento. Si piegano alle raffiche gli arbusti, cigolano le porte, i muri si squamano, deserte le strade, gli ormeggi sfilacciano le corde, le barche si urtano scomposte.

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Bussano alla porta. Salvatore, già a letto, agitato, va ad aprire. E’ ancora Vincenzo che lo sollecita a vestirsi perché c’è bisogno giù alle banchine. Non c’è tempo per nessuna parola. Giù al Mamozio ha rotto le cime il gozzo di Facciabruciata. In balìa del ribollire delle acque c’è pericolo che faccia più danni di quanto non abbia subìto lui stesso.

Poca luna, smorti lampioni, quello che si riesce a vedere è quanto permette l’argento delle onde in tumulto. Il gozzo senza cime a poppa  si dimena fra gli altri scafi. Li urta e ne fracassa le murate. Già lui ha la poppa smangiata e l’acqua che vi entra può affondarlo.

Facciabruciata si è avventurato su uno scafo e cerca di lanciare un cappio che si appigli alla punta della prua, in modo da tirarlo verso la riva, saltargli sopra e guidarlo. Un amico si è portato pure lui su un altro gozzo e ugualmente cerca di imbrigliare lo scafo che scalpita come un cavallo imbizzarrito. L’unico freno è l’ àncora, che gli permette agitamenti pur trattenendolo .

Si è in quattro o cinque, attenti alle mosse degli altri per capirne le intenzioni e agevolarle. Non uno scambio di parole perché ciò che sta avvenendo lo impedisce. C’è da contrastare l’insieme delle forze caotiche che possiedono il gozzo rendendolo un martello demolitore. Qualsiasi cosa tocchi, sotto la forza del mare, la romperà, fracassando pure se stesso.

Il tentativo di Facciabruciata  non sortisce effetti perché il cappio non si appiglia alla prua. Se ne esce sempre. Qualcuno grida ma non si capisce cosa. Un altro cerca di fermare l’agitazione dei gozzi vicini, rafforzandone le cime.

Finalmente ci riesce, Facciabruciata ha lanciato sulla sua barca un arpione con la corda. Le punte si incagliano e ora si tratta di tirarlo verso riva. E’ il segnale atteso. Tutti sanno cosa fare. Ci si unisce a Facciabruciata e insieme si tira. C’è Salvatore, Vincenzo, viene anche Ntunino.

Il gozzo imbizzarrito vede ridotta la sua foga. Non appena può, Facciabruciata  vi salta sopra. Vorrebbe togliere l’acqua già padrona del vano motore ma capisce che c’è da salvare innanzitutto lo scafo. Molla la cima dell’ àncora mano a mano, permettendo a quelli di terra di avvicinare lo scafo allo scalo d’alaggio.

Intanto già c’è chi è andato a prendere le falanghe per tirarlo a secco.

Il gozzo è lungo 8-9 metri e per metterlo a terra occorre gente che lo tiri da prua e gente che, disposta ai due fianchi, mantenga lo scafo dritto.

Ormai il Mamozio brulica di uomini. In piena notte si sono radunati oltre dieci persone. Come abbiano fatto a sapere la notizia ? Il bisogno associa gli animali e gli uomini ancora di più. In essi operano anche la collaborazione, la solidarietà, la comunanza. Sono sentimenti fondati sul rispetto, la consapevolezza, la fratellanza. Si può essere divisi negli interessi, nelle simpatie, nei rancori, eppure  uniti quando il progetto è comune.

Salvatore e Vincenzo, fra i contrasti che nutrono c’è pure la vicinanza di casa che, si sa, è fonte perenne di discordia, eppure stanno lì a prendersi gli schiaffi della pioggia a raffica, con i piedi a mare, a reggere, uno da una parte uno dall’altra, le fiancate del gozzo di Facciabruciata. Ma come voltare le spalle ad un amico ? Non può succedere.

 

Francesco  De Luca

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